Paesaggi confinati

I territori fragili e l'epidemia: riflessioni

Autore:

Claudio Umberto Comi

Data:

04 Maggio 2020

Sin dove abbraccia lo sguardo” è il modo più antico e più semplice per definire un paesaggio ed in questi giorni di confinamento “precauzionale” nei quali i nostri sguardi spaziano dalla visione di un monitor allo scorcio che ci offre la finestra, attraversando con lo sguardo la stanza che ci ospita, osserviamo in quest’ultima un “paesaggio artificiale” del nostro quotidiano domestico.  Marco Casamonti su Area usa il termine paesaggi artificiali e lo declina come titolo di un breve pezzo in cui evidenzia una dicotomia tra paesaggi naturali e altri antropizzati correlando ciò al distinguo tra un valore estetico dei primi rispetto ad una necessità di attenzione etica nei confronti del progetto di architettura per le sue ripercussioni su territori con i conseguenti “paesaggi dell’uomo”. A dire il vero sul concetto di “paesaggio artificiale” circolano solo brevi scritti che lo usano più come slogan che come effettiva categoria speculativa e questo è ragionevolmente dovuto al fatto che in ambito geografico il concetto di artificiale, ove riferito al paesaggio, riconduce ai processi antropici di trasformazione dei luoghi o ad i manufatti da essi generati. In così poche righe, dunque, già si delineano i tre vertici del triangolo in cui è inscritto “il paesaggio” tout court: ad una valutazione estetica, si contrappone un’analisi geografica, entrambe in latente conflitto con le considerazioni “etiche” fatte proprie dall’architettura; in altre parole: contemplazione, valutazione e speculazione. Se le cose fossero davvero così semplici il paesaggio sarebbe facilmente spiegato, ma purtroppo non è così.

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