Forum Disuguaglianze Diversità – Fragilità Territoriali https://www.eccellenza.dastu.polimi.it Dipartimento di eccellenza Tue, 22 Dec 2020 19:02:09 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.2 https://i0.wp.com/www.eccellenza.dastu.polimi.it/wp-content/uploads/2020/05/cropped-cropped-favicon.png?fit=32%2C32&ssl=1 Forum Disuguaglianze Diversità – Fragilità Territoriali https://www.eccellenza.dastu.polimi.it 32 32 176743178 Quinta proposta di intervento di Ricomporre i Divari: il miglioramento della qualità dell’aria nel Bacino Padano https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/12/22/quinta-proposta-di-intervento-di-ricomporre-i-divari-il-miglioramento-della-qualita-dellaria-nel-bacino-padano/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/12/22/quinta-proposta-di-intervento-di-ricomporre-i-divari-il-miglioramento-della-qualita-dellaria-nel-bacino-padano/#respond Tue, 22 Dec 2020 18:59:28 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5292

Autore:

La proposta è stata elaborata da un gruppo di lavoro composto da Marcello Magoni, Gloria Pessina e Rachele Radaelli. La sua versione completa sarà pubblicata in un volume di prossima uscita per i tipi de Il Mulino.

Data

22 Dicembre 2020

Nel Bacino Padano: una strategia territoriale di disinquinamento dell’aria

Il Bacino Padano è una delle aree europee in cui è più forte lo squilibrio tra attività economiche, insediamenti umani e ambiente. Tra i diversi fattori di squilibrio ambientale, che includono il consumo del suolo e l’inquinamento delle acque, l’inquinamento atmosferico costituisce uno dei più problematici a causa non solo delle notevoli emissioni inquinanti, ma anche delle condizioni orografiche e meteoclimatiche che ne incrementano la stagnazione. Infatti, nonostante per alcuni inquinanti la qualità dell’aria sia migliorata già dagli anni ’70, vi è ancora una condizione di criticità per le eccessive concentrazioni di particolato fine (PM10 e PM2,5), biossido di azoto (NO2) e ozono (O3).

L’inquinamento dell’aria costituisce uno dei principali fattori di rischio ambientale per la salute dell’uomo poiché provoca un aumento delle malattie respiratorie, cardiovascolari e neoplastiche che conducono a morti premature e a una riduzione delle aspettative di vita nelle popolazioni interessate. L’Italia è considerata tra le prime nazioni in Europa per numero di morti premature dovute all’eccesso di particolato fine (PM 10, PM2.5), di cui un numero prevalente si presume provenga dal Bacino Padano.

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Per individuare le strategie più efficaci per ridurre l’inquinamento atmosferico e i suoi effetti sono considerati fattori individuali, socio-ambientali (reddito, livello d’istruzione, esposizione, condizioni climatiche, etc.) ed emissivi. Ad esempio, in Lombardia le principali fonti di emissione degli ossidi di azoto, PM2,5 e ozono sono i mezzi di trasporto di persone e merci (31%), la combustione non industriale (22%), quella industriale (circa il 13%) e l’agricoltura (quasi il 7%).

Data la natura complessa dell’inquinamento atmosferico, per ottenere un miglioramento definitivo della qualità dell’aria occorre intervenire su tutti i settori emissivi in modo proporzionato al loro contributo e con una regia in grado di coordinare le diverse azioni sull’intero territorio considerato.

Nel Bacino Padano nell’ultimo decennio è emersa con forza la necessità di una regia nazionale di contrasto all’inquinamento atmosferico in conseguenza sia dei richiami all’Italia delle istituzioni europee, sia dell’attenzione al tema del cambiamento climatico. Sono di questi anni la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, il Piano Nazionale Energia e Clima 2030 e gli aggiornamenti ai Piani regionali di tutela della qualità dell’aria. Inoltre, sono stati sottoscritti diversi accordi di collaborazione interregionale e nazionale per affrontare la grave situazione del Bacino Padano, ma gli effetti di questi piani, strategie e accordi sono ancora lontani dal raggiungimento dell’obiettivo di un adeguato miglioramento della qualità dell’aria. Al riguardo riscontriamo tre grandi problemi: la scarsità di risorse dedicate a livello sovraregionale; l’inadeguatezza delle azioni finanziate a livello comunale; le scarse analisi territoriali del fenomeno dell’inquinamento atmosferico nell’elaborare delle azioni puntuali e diversificate.

Anche in vista dei finanziamenti del Next Generation EU, proponiamo di elaborare una “Strategia territoriale per il miglioramento della qualità dell’aria del Bacino Padano” caratterizzata da una forte regia nazionale e da un processo di coinvolgimento alle diverse scale di istituzioni (comuni, aree metropolitane, regioni), organismi tecnici (es. agenzie per la protezione dell’ambiente), università, associazioni, cittadini.

Questa strategia dovrà considerare l’insieme delle attività che producono emissioni inquinanti e la loro distribuzione nello spazio e integrarsi alle strategie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Essa dovrà assumere due prospettive complementari: la prima dovrà agire sull’uso dei suoli e sui sistemi insediativi e produttivi, mitigandone l’impatto ambientale e aumentandone l’efficienza energetica, la seconda dovrà ridurre le emissioni inquinanti e l’esposizione della popolazione. Queste prospettive dovranno trovare attuazione in tre dimensioni strategiche: l’orientamento dei sistemi insediativi (1) e agro-industriale (2) verso condizioni di maggiore sostenibilità e la riduzione dell’uso dei combustibili fossili (3).

Il ripensamento del sistema insediativo richiede di minimizzare lo sprawl urbano (ovvero l’espansione degli insediamenti urbani) e il consumo di suolo attraverso lo sviluppo di modelli di tipo diramato, dove le infrastrutture territoriali sono integrate per ottenere una maggiore efficienza energetica e una riduzione dell’impatto ambientale. L’orientamento del sistema agro-industriale punta su una riconversione sostenibile di coltivazioni e allevamenti basata sugli obiettivi della strategia europea Farm to Fork, attraverso l’espansione della filiera corta, l’uso e il trattamento a basso impatto delle acque reflue, l’uso ridotto e a basso impatto di pesticidi e fertilizzanti, il recupero dei flussi di materia/energia (es. produzione di biometano da residui organici agricoli e urbani). La riduzione dei combustibili fossili richiede di migliorare l’efficienza energetica di insediamenti e infrastrutture e di sostituire le energie non-rinnovabili con quelle rinnovabili. Questo comporta il potenziamento della rete elettrica, la riduzione della domanda di mobilità privata, il recupero dei flussi di energia in eccesso, l’accumulo di elettricità e calore prodotte dagli impianti eolici, solari e idrici a flusso libero.

La strategia territoriale dovrà avere un’elevata flessibilità, poiché tecnologie, pratiche e conoscenze sull’energia sono in continua e forte trasformazione, e dovrà coinvolgere cittadini e attori locali. Al riguardo, il sostegno alla diffusione di processi di coinvolgimento degli abitanti finalizzati al progetto, alla sperimentazione e alla valutazione di transizioni verso modelli territoriali più sostenibili dovrà costituire una dimensione essenziale delle strategie locali.

Marcello Magoni è responsabile del CCRR-Lab – DAStU (Politecnico di Milano) e svolge attività di ricerca,  formazione e consulenza nei campi della pianificazione e valutazione territoriale e paesistico-ambientale e della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Gloria Pessina è dottore di ricerca in Spatial Planning and Urban Development, è assegnista di ricerca presso il DAStU (Politecnico di Milano) nell’ambito del progetto “Fragilità Territoriali”. Rachele Radaelli è architetto, membro del CCRR-Lab del DAStU (Politecnico di Milano) e svolge attività di ricerca e formazione nei campi della pianificazione territoriale, della valutazione ambientale e della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. 

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Credits: https://www.esa.int/ESA_Multimedia/Images/2019/05/Nitrogen_dioxide_over_Europe
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Quarta proposta di intervento di Ricomporre i Divari: lo spazio costiero quale infrastruttura fondamentale per il benessere di tutti i cittadini https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/11/25/quarta-proposta-di-intervento-di-ricomporre-i-divari-lo-spazio-costiero-quale-infrastruttura-fondamentale-per-il-benessere-di-tutti-i-cittadini/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/11/25/quarta-proposta-di-intervento-di-ricomporre-i-divari-lo-spazio-costiero-quale-infrastruttura-fondamentale-per-il-benessere-di-tutti-i-cittadini/#respond Wed, 25 Nov 2020 08:48:55 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5201

Autore:

La proposta è stata elaborata da un gruppo di lavoro composto da Francesco Curci, Mariavaleria Mininni, Gabriele Nanni, Edoardo Zanchini e Federico Zanfi. La sua versione completa sarà pubblicata in un volume di prossima uscita per i tipi de Il Mulino.

Data

25 Novembre 2020

Accessibilità pubblica, sicurezza e risposta al cambiamento climatico: una strategia per le coste

Le coste sono tra i contesti geografici italiani che hanno subìto più trasformazioni nell’ultimo secolo. Lo spostamento sulla costa della popolazione interna e i processi di infrastrutturazione, urbanizzazione e turistificazione hanno consumato suolo irrigidendo l’interfaccia mare-terra e interferendo col regime idraulico dei litorali. Tali processi hanno altresì compromesso ecosistemi preziosi e accelerato dinamiche quali la salinizzazione delle falde e l’erosione costiera. A tutto ciò oggi si aggiungono le gravi preoccupazioni relative agli scenari di cambiamento climatico e innalzamento del livello del mare che interesserebbero buona parte dei circa 8000 km di coste italiane.

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In questo quadro possiamo richiamare almeno quattro nodi in cui si intrecciano aspetti ambientali, sociali ed economici che a nostro avviso dovrebbero costituire i termini di riferimento per ogni futura riflessione strategica sulle aree costiere.

Lo spazio costiero italiano è anzitutto uno spazio il cui libero accesso è limitato, con le concessioni del demanio marittimo a imprenditori privati che interessano oltre la metà delle spiagge sabbiose a livello nazionale (nei tratti di costa liguri e romagnoli tale quota supera il 70%) a fronte di canoni concessori troppo esigui.

Si tratta poi di uno spazio insalubre, col 7,8% delle aree costiere italiane interdette alla balneazione per ragioni di inquinamento delle acque e con una diffusa assenza di monitoraggio e informazione. A causa di ciò si continua a fare il bagno o a praticare sport acquatici in molti luoghi formalmente dichiarati non balneabili con la conseguente esposizione della popolazione a varie forme di rischio per la salute.

Ancora, si tratta di uno spazio investito da emergenti fenomeni di periferizzazione che riguardano gli insediamenti più decaduti e i segmenti meno qualificati dello stock di ex case di villeggiatura; situazioni ove si concentrano popolazioni marginali e immigrate e che in taluni casi – come lungo il litorale Domizio – diventano problematici luoghi di esclusione e segregazione su base etnica.

Si tratta, infine, di uno spazio a rischio, in particolare nelle sue componenti edilizie più esposte agli effetti dell’erosione costiera e dell’innalzamento del livello medio del mare; un’esposizione che si fa particolarmente problematica per i molti edifici di origine abusiva prossimi agli arenili e critici in termini di impatto paesaggistico sui quali l’azione di demolizione è stata fino ad ora poco incisiva.

La premessa necessaria per scardinare gli assetti consolidati e le dinamiche che contribuiscono alla riproduzione di varie forme di disuguaglianza spaziale, sociale e ambientale è riconoscere la costa come una infrastruttura fondamentale per il benessere di tutti i cittadini – in primis per coloro che la abitano stabilmente – per garantirne una fruizione sostenibile, equa e democratica. La costa del futuro che immaginiamo è uno spazio riorganizzato nelle sue modalità di accesso, uso e gestione, riequilibrato sotto il profilo ecologico e della legalità, bonificato e alleggerito del suo attuale carico insediativo.

Entro questa visione proponiamo di riconoscere quattro linee d’azione integrate che mirano ad affermare alcuni diritti fondamentali in relazione allo spazio costiero.

Una prima linea d’azione riguarda il diritto a una libera e gratuita fruizione delle spiagge e delle coste. Tale diritto dovrebbe stare alla base di un riordino delle modalità di gestione del demanio costiero, un riordino necessario non soltanto per ottenere concessioni più eque, ma anche per qualificare e indirizzare queste verso obiettivi di maggiore sostenibilità ambientale. Entro tale prospettiva occorre definire: a livello nazionale, le quote massime ammissibili di spiagge balneabili offerte in concessione in un determinato territorio costiero; a livello regionale, bandi e procedure per il rilascio delle nuove concessioni che premino progettualità virtuose in chiave sociale ed ecologica tenendo conto delle specificità idro-geomorfologiche e botanico-vegetazionali degli ambiti costieri.

Una seconda azione riguarda il diritto a una balneazione sicura in acque salubri. Due principali fronti di lavoro sembrano necessari in questo senso. In primo luogo, al fine di favorire una conoscenza accurata della qualità chimica, fisica e batteriologica delle acque, occorre progettare un unico e capillare sistema di monitoraggio della qualità delle acque costiere sul modello dei sistemi di monitoraggio dell’aria. In secondo luogo, poiché la qualità dell’acqua in prossimità delle coste deriva in gran parte da come si progetta il ciclo dell’acqua nei territori costieri e subcostieri, va perseguita una maggiore integrazione dei Piani di Assetto Idrogeologico con i Piani di Tutela delle Acque, considerando insieme aspetti che vanno dall’attenzione alla permeabilità dei materiali del progetto urbanistico, alla pianificazione di sistemi di depurazione capaci di far fronte ai periodi di massima utenza legata alla stagione balneare.

Un terzo tema riguarda poi la concezione della spiaggia quale spazio pubblico democratico e accessibile a tutti, con una particolare attenzione ai quartieri urbani periferici e meno dotati di servizi e attrezzature collettive. Si tratta in questo caso di intervenire dentro e ai margini di tali quartieri ricostruendo il loro rapporto con la costa mediante la progettazione di nuovi spazi pubblici nella forma di “spiagge-parco”: spazi in grado di garantire – più che i tradizionali waterfront urbani – un rapporto più diretto col mare, e di favorire una positiva percezione dei quartieri da parte degli abitanti proprio grazie alla riconquista di un migliore rapporto col mare.

Un’ultima linea di azione ha a che vedere con una politica fondiaria di acquisizione di nuove aree pubbliche da annettere al demanio marittimo al fine di garantirne l’esistenza nel futuro scenario di innalzamento del livello dei mari e di erosione costiera. Una politica che dovrebbe agire: da un lato sulle aree pubbliche maggiormente segnate dalla presenza di interventi quali grandi infrastrutture, impianti industriali, centrali energetiche e poligoni militari, ovvero su quelle aree da risarcire mediante bonifiche e rinaturalizzazioni o, nei casi di grave incompatibilità ambientale, da liberare definitivamente dagli elementi antropici; dall’altro lato dovrebbe intervenire sul patrimonio edilizio privato ubicato sulle coste più a rischio, rilocalizzando gli immobili mediante “programmi di trasferimento” (relocation programs) già sperimentati in altri paesi e mettendo a punto meccanismi più efficaci per una diffusa rimozione degli immobili abusivi non sanabili e più vicini al mare.

Queste azioni implicitamente rimandano al disegno di una Strategia nazionale per le aree costiere, che potrebbe stare in capo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e che dovrebbe concepirsi come elemento di raccordo tra direttive, istituzioni e strumenti di pianificazione che già operano, seppure entro settori e a livelli istituzionali diversi, in coerenza col cambio di paradigma auspicato. Entro questa prospettiva, oltre a finanziamenti stanziati a livello centrale, tale strategia potrebbe vincolare le rendite provenienti da rinnovate concessioni demaniali e da una più rigorosa tassazione della ricettività turistica costiera a investimenti nella messa in sicurezza, nel disinquinamento, nella de-antropizzazione e rinaturalizzazione delle medesime aree costiere – oltre che nella fornitura di servizi essenziali per chi le abita stabilmente. Uno schema di finanziamento che, collegando il prelievo fiscale nelle aree costiere “forti” all’investimento in quelle maggiormente minacciate e degradate, attuerebbe un’azione di perequazione territoriale allargata e di attenuazione dei divari.

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Terza proposta di intervento di Ricomporre i Divari per riattivare il capitale naturale delle aree interne https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/11/17/terza-proposta-di-intervento-di-ricomporre-i-divari-per-riattivare-il-capitale-naturale-delle-aree-interne/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/11/17/terza-proposta-di-intervento-di-ricomporre-i-divari-per-riattivare-il-capitale-naturale-delle-aree-interne/#respond Tue, 17 Nov 2020 10:53:14 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5175

Autore:

La proposta è stata elaborata da Giovanni Carrosio e Alessandra de Renzis. La sua versione completa sarà pubblicata in un volume di prossima uscita per i tipi de Il Mulino.

Data

17 Novembre 2020

Accesso alla terra, manutenzione del territorio, sostegno della domanda di beni locali: così prosperano le aree interne

Nello spazio di possibilità che si è aperto come effetto della pandemia, vi è l’idea − diffusa anche nel mondo dell’economia e dell’industria mainstream − che sia necessario rilocalizzare settori e filiere strategici per una transizione resiliente dei sistemi sociali e territoriali. Nei mesi del primo picco della pandemia si è discusso molto sulla perdita di controllo sulle filiere dei dispositivi medici, come le mascherine e i respiratori, e sulla necessità di ricostruire delle economie di stoccaggio dei beni fondamentali e di accorciare le catene di produzione. Lo stesso ragionamento può essere spostato sui beni ambientali. La crisi climatica ci pone di fronte a cicliche e sempre più frequenti situazioni estreme, nelle quali beni come acqua, energia, cibo e diverse materie prime possono entrare temporaneamente in regime di scarsità. A livello internazionale esiste ormai da anni un filone di studi che si occupa di food desert, ovvero delle situazioni di scarsità di cibo conseguenti a eventi climatici estremi. In questo caso, resilienza significa ricostruire spazi di autonomia nel reperimento e nella riproduzione dei beni ambientali e delle risorse primarie, dove il presidio e la cura dei beni e servizi ecosistemici permettono la tenuta e la valorizzazione del capitale naturale.

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In Italia, questi spazi possono essere ricostruiti rimettendo al lavoro il capitale naturale delle aree interne, territori dove lo spopolamento e l’abbandono hanno causato una situazione di sottoutilizzo insostenibile dei beni ambientali, che si è tradotta in dissesto idrogeologico, perdita di superficie agricola utilizzata, depauperamento della qualità e disequilibrio degli ecosistemi, perdita di biodiversità. Riconnettere la gestione sostenibile dei beni ambientali con i sistemi produttivi significa reintrodurre materiali naturali e sottoprodotti di lavorazione in alcune filiere come l’edilizia, la fabbricazione di tessuti, le produzioni di design, l’innovazione terapeutica a base di complessi molecolari naturali… Senza dimenticare il ruolo che la gestione dei beni ambientali può avere nella decarbonizzazione del sistema energetico nazionale, sia sul fronte della produzione di energia che del risparmio energetico. Ad oggi esistono già alcune esperienze più o meno strutturate, che si muovono sul fronte dell’innovazione e occupano alcune nicchie specifiche di mercato. Si pensi alle esperienze di economia circolare, che valorizzano i sottoprodotti della lavorazione del legno per la produzione di energia da biomasse, alla produzione di tessuti ecologici grazie alla trasformazione del pestazzo degli agrumi. Oppure alle filiere alimentari della nutraceutica, che recuperano varietà antiche di produzioni vegetali per offrire prodotti ad una crescente componente di consumatori che soffrono di intolleranze alimentari. Queste nuove esperienze che innovano ricostruendo una relazione di co-produzione tra uomo e ambiente non trovano però contesti regolativi idonei per fare il salto di scala e occupare segmenti di mercato sufficientemente grandi da rimettere al lavoro il capitale naturale delle aree interne. Sicurezza degli approvvigionamenti, manutenzione del territorio, economie circolari, decarbonizzazione sembrano essere, in questa prospettiva, obiettivi reciprocamente vantaggiosi. Tuttavia, esistono diverse problematiche perché questi obiettivi si possano inverare. Ne individuiamo tre, attorno alle quali concentreremo le possibili azioni concrete che sostanziano la proposta:

  • la prima riguarda la frammentazione fondiaria e l’accesso alla terra: una parte dell’innovazione imprenditoriale che guarda alla riconnessione tra materie prime locali e filiere e alla rimessa in produzione del capitale naturale delle aree interne è penalizzata dalla difficoltà di accesso alla terra e dal problema della frammentazione fondiaria;
  • la seconda riguarda alcune attività di manutenzione, indispensabili per gli equilibri ecosistemici, che non trovano riscontro diretto sul mercato e che hanno bisogno di vedere riconosciuto il proprio lavoro e valore per continuare ad esistere;
  • la terza riguarda la costruzione della domanda: dando per scontato che i mercati sono sempre direttamente o indirettamente regolati da politiche e sistemi di incentivazione, bisogna pensare a come introdurre una postura territoriale alle politiche (per esempio le incentivazioni per il risparmio energetico delle abitazioni, che richiedono utilizzo di materiali coibentanti) che rimetta al centro la domanda di beni naturali locali. Ad oggi, le politiche regolative e di incentivazione favoriscono settori e filiere già strutturati e non permettono di creare spazi alla diffusione di nuovi prodotti, materiali, metodi.

Le azioni concrete

Le azioni concrete che si possono mettere in campo per rimettere in moto il capitale naturale delle aree interne hanno bisogno di raccordare in modo mirato strumenti e sperimentazioni già esistenti e di individuare nuovi modi di operare attraverso azioni sperimentali. Si potranno individuare strumenti di sostegno offerti dalla prossima programmazione dei fondi europei − tanto a favore del sistema agricolo quanto si quello economico ed urbano − lavorando sulle relazioni tra città e aree interne, instaurando un circolo virtuoso di riconoscimento, complementarietà e reciprocità metro-rurale:

  • per quanto riguarda i problemi della frammentazione fondiaria e dell’accesso alla terra esistono diverse sperimentazioni e politiche già in essere. In particolare, sul tema della frammentazione fondiaria si registrano: il tentativo di innovare i catasti, perché diventino strumenti attivi per l’organizzazione di banche della terra, capaci di mettere in connessione domanda e offerta; esperienze dal basso di associazione fondiaria e consorzi forestali per accorpare particelle di bosco al fine di lavorare su economie di scala che consentano di attivare nuove imprese. Questi strumenti vanno coordinati e utilizzati per creare connessioni metro-rurali tra domanda e offerta;
  • per quanto riguarda la remunerazione di attività di manutenzione del territorio, di riproduzione e di stoccaggio di risorse ambientali, ci viene in soccorso la letteratura sui servizi ecosistemici e sul loro pagamento. Il pagamento dei servizi ecosistemici può avvenire sotto forma di tassazione (per esempio, chi è a valle paga canoni dell’acqua a chi è a monte. Romagna Acque – gestione della diga di Ridracoli – mette in bolletta un riconoscimento economico vincolato alla manutenzione boschiva) o come riconoscimento della quota ecosistemica nel valore dei prodotti, dentro mercati che consentono di valorizzare l’origine, la qualità e la funzione (pago di più un tipo di formaggio perché fa parte di una filiera di manutenzione del territorio e conservazione della biodiversità). Perché avvenga questo è necessario collegare alcuni strumenti già esistenti, come alcune forme di sostegno alle attività agricole nei fondi europei (es le esperienze dei “custodi del territorio”, degli agricoltori e allevatori custodi), con nuove politiche che impegnino amministratori, aziende pubbliche, centrali cooperative, consumatori in un patto metro-rurale: su questo punto esistono esperienze di gestione sostenibile dei boschi attraverso piani di valorizzazione che guardano alla connessione tra aree interne e città: si pensi al nascente condominio forestale in Val Pesarina (Friuli Venezia Giulia, provincia di Udine), che connette gestione del bosco con il riscaldamento condominiale a biomasse nella città di Pordenone, oppure alla filiera della biomassa di Campo Ligure (Liguria, provincia di Genova), che fornisce di cippato le serre delle coltivazioni di basilico di Prà, sulla costa del ponente ligure.
  • infine per quanto concerne la costruzione della continuità di domanda di prodotti derivati da gestione sostenibile del territorio, è necessario lavorare affinché si dia vita a nested markets (mercati nidificati), dove il ruolo delle amministrazioni pubbliche e delle imprese pubbliche può essere fondamentale per strutturare la nascita di nuovi mercati e garantire quantitativi di domanda stabili e sufficienti perché vi siano investimenti imprenditoriali: si potrebbe pensare alla logica del green procurement, declinata sulla responsabilità territoriale dell’azione pubblica e privata. Da una parte, le amministrazioni e le imprese pubbliche potrebbero acquistare prodotti e servizi sulla base di specifiche territoriale oltre che ambientali; dall’altra, il legislatore nazionale e regionale potrebbe inserire clausole territoriali nelle politiche di incentivazione e regolamentazione dei mercati. Per esempio, i sistemi di detrazione fiscale per interventi di efficientamento energetico delle abitazioni potrebbero essere collegati a premialità per l’utilizzo di materiali naturali provenienti da filiera corta; o ancora, le mense delle scuole e aziendali, potrebbero incrementare l’utilizzo di prodotti derivanti da gestione sostenibile del territorio dentro disegni articolati di responsabilità sociale territoriale.

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Italia di mezzo: trenta progetti-pilota per la valorizzazione degli spazi e dei territori della produzione https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/11/05/italia-di-mezzo-trenta-progetti-pilota-per-la-valorizzazione-degli-spazi-e-dei-territori-della-produzione/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/11/05/italia-di-mezzo-trenta-progetti-pilota-per-la-valorizzazione-degli-spazi-e-dei-territori-della-produzione/#respond Thu, 05 Nov 2020 10:31:40 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5128

Autore:

La proposta è stata elaborata da un gruppo di lavoro composto da Daniela De Leo, Arturo Lanzani, Cristiana Mattioli, Eugenio Morello, Federico Zanfi. La sua versione completa sarà pubblicata in un volume di prossima uscita per i tipi de Il Mulino.

Data

05 Novembre 2020

Una proposta di intervento per i “territori intermedi” del nostro paese, focalizzata su transizione ecologica e riconnessione territoriale delle filiere produttive. Un contributo di Arturo Lanzani, Daniela De Leo, Federico Zanfi

Fuori dalle aree interne e dai capoluoghi delle città metropolitane, in non pochi territori periurbani dell’urbanizzazione diffusa e città medie, è possibile osservare ambiti territoriali contraddistinti da vicende evolutive differenziate. In molti casi si tratta o di territori che hanno avuto una rapida e spesso incontrollata crescita per via dello sviluppo di buona parte della manifattura italiana, o, anche, in misura minore e specialmente nel Mezzogiorno, di profili industriali di stampo fordista legati all’azione statale e di agricolture intensive. Uno sviluppo a volte congiunto, a volte autonomo rispetto ai processi di urbanizzazione, che ha generato una contenuta ma spesso costante crescita della popolazione fuori dall’orizzonte delle grandi città. Questo sviluppo non è stato quasi per nulla regolato nel suo profilo urbanistico-ambientale, né tanto meno inquadrato all’interno di una qualche esplicita visione di trasformazione territoriale. Ne è conseguito, da un lato, una crescente criticità ambientale dovuta agli elevati consumi del suolo, alla frammentazione degli spazi aperti, alla moltiplicazione di suoli inquinati, oltre che al rilevante inquinamento dell’acqua e dell’aria; dall’altro, un faticoso funzionamento di questi territori e una tenuta sempre minore, per l’incoerenza tra insediamenti disordinati e reti della mobilità. Infatti, la pessima combinazione e composizione delle infrastrutture e delle attrezzature della vita quotidiana (non necessariamente carenti in valore assoluto, ma senz’altro mal relazionate con la specificità fisico-morfologica ed economico-socio-ambientale, nonché pessimamente composte tra loro), si è sovrapposta all’eccesso di introversione e specializzazione di ogni componente insediativa e conseguente carenza di plasticità del sistema nel suo complesso.

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Entro questo quadro sono emersi modelli insediativi caratterizzati da un metabolismo inefficiente: dinamiche e flussi dei sistemi urbani (spostamenti di persone e beni, risorse ambientali, energia e persino informazioni) non risultano ottimizzati a livello locale e di prossimità, richiedendo al contrario enormi dispendi di energie propri di un sistema entropico con limitata capacità locale di rispondere alle sollecitazioni esterne di shock e stress.

Per questa Italia né area metropolitana né area interna, di margine metropolitano o “di mezzo”, che è spesso sembrata in grado “di fare da sé” o che, nel migliore dei casi, è stata coinvolta da politiche economiche totalmente focalizzate sulle ragioni delle imprese e della produzione, emerge dunque l’esigenza di una politica territoriale di più ampio raggio, in grado di promuovere azioni di rigenerazione insediativa, riqualificazione ambientale e reinfrastrutturazione mirata. Una politica territoriale che non metta al centro solo lo sviluppo edilizio delle periferie residenziali con il mantra del mattone come volano di tutte le economie, ma parta dagli spazi e dai territori della produzione (e della logistica), di cui forse la crisi del Covid-19 ha mostrato sia l’estrema fragilità (ne sono stati i principali epicentri), sia la fondamentale importanza (sociale, oltre che economica).

La proposta intende sottolineare la necessità di promuovere un’azione volta a favorire la rigenerazione e la valorizzazione di questi territori della produzione allargando l’azione pubblica dalle sole imprese al capitale territoriale entro cui esse operano, pur con un loro diretto coinvolgimento magari in forme consortili pubblico-private. La proposta operativa prevede di procedere anzitutto all’individuazione di 30 ambiti sovracomunali esemplari (con un massimo di 3 per Regione), non necessariamente distrettuali, che presentino un doppio ordine di criticità: una più propriamente economico-sociale e una più propriamente ambientale-urbanistico-territoriale. Entro tali ambiti saranno poi delineate possibili azioni dedicate agli spazi della produzione: dalle aree industriali dei distretti manifatturieri, agli ambiti dell’allevamento intensivo, alle coltivazioni in serra e delle agricolture intensive e specializzate, dal forte impatto ambientale.

Si tratterà più precisamente di: a) migliorare le dotazioni tecnologiche, promuovendo impianti anche su base associativa e consortile che favoriscano i processi di riconversione ecologica delle produzioni, con la riduzione di emissioni inquinanti, migliore trattamento dei rifiuti e con la chiusura dei cicli energetici e di materia (vincolando, rispetto all’uso del suolo, processi di nuova espansione industriale alla rinaturalizzazione di ambiti non riutilizzabili a fini produttivi); b) potenziare le connessioni con il territorio, aumentandone al tempo stesso il livello di “urbanità”, l’inserimento nel quadro paesistico-ambientale circostante e le forme di accessibilità e di mobilità sostenibili; c) promuovere progetti formativi mirati e coerenti con il sistema produttivo locale, di alta formazione e specializzazione, di alternanza scuola-lavoro, nonché azioni a sostegno dell’innovazione tecnologica che contribuiscano a mantenere (o a far ritornare) attrattivi i territori in cui le aree produttive sono insediate, in particolare, per quelle imprese che impiegano capitale umano qualificato e producono prodotti con elevato valore aggiunto.

Potranno quindi essere finanziati interventi: tecnologici, legati al potenziamento delle reti digitali, alla gestione dell’energia, delle acque e al trattamento dei rifiuti; di riqualificazione urbanistica, paesaggistica, ambientale e architettonica degli spazi delle aree produttive; infrastrutturali e gestionali di promozione della mobilità dolce e sostenibile delle persone e delle merci. Ogni progetto dovrebbe avere una dotazione di 20 milioni di euro per un totale di 600 milioni di euro (in parte fondi strutturali; per le aree produttive agricole dal PSR) che potrebbe venire da un ricorso attento e coordinato dei vari strumenti comunitari in campo (coesione; PSR; Next Generation EU; Green New Deal).

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Nuovi lavori per quartieri rinnovati https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/28/nuovi-lavori-per-quartieri-rinnovati/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/28/nuovi-lavori-per-quartieri-rinnovati/#respond Wed, 28 Oct 2020 20:57:23 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5111

Autore:

La proposta è stata elaborata da un gruppo di lavoro composto da Gabriele Pasqui, Giovanni Laino, Alessandro Coppola, Agostino Petrillo, Sandro Balducci ed è stata discussa e rivista con Claudio Calvaresi, Elena Fontanella, Rossana Torri, Andrea Ghirlanda, Davide Bazzini, Roberto Nocerino. La sua versione completa sarà pubblicata in un volume di prossima uscita per i tipi de Il Mulino.

Data

28 Ottobre 2020

Una proposta di intervento di Ricomporre i Divari per la rigenerazione ambientale dei quartieri in difficoltà nei contesti metropolitani
 

Quando si parla di “periferie” si tende ancora oggi a limitare lo sguardo alle periferie dei nuclei centrali delle aree metropolitane. Tuttavia, è ormai noto come la condizione periferica sia ormai esplosa estendendosi ad una scala ben più ampia di quella comunale e che ha ormai una dimensione territoriale: la “periferia” di Milano non è solo il quartiere di Gratosoglio ma anche è sempre di più il comune di Pioltello o di Melzo, che distano da Piazza del Duomo rispettivamente 12 e 22 chilometri.

I grandi contesti metropolitani così intesi sono fra i territori “fragili” al centro dei progetti del percorso di “Ricomporre i divari” e su cui si dovrà investire con forza nei prossimi anni. Si tratta di una fragilità che discende in gran parte dall’essere sede degli effetti forse più vistosi di processi di polarizzazione sociale e spaziale che hanno modificato le società urbane negli ultimi decenni. Processi che hanno condotto da una parte alla crescita delle diseguaglianze di redditi e patrimoni e dall’altra a forme di concentrazione spaziale di gruppi sociali particolarmente vulnerabili.

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Si può fare molto per aggredire almeno alcuni dei fattori di produzione e riproduzione di queste diseguaglianze. Un rafforzamento dei governi metropolitani – a partire dal riconoscimento di poteri concreti in ambiti decisivi quali la regolazione dei suoli e quindi le politiche abitative – sarebbe senza dubbio importante. Tuttavia, fin da subito si possono promuovere interventi concreti che facciano leva sulla programmazione della politica di coesione 2021-27, e quindi anche sull’opportunità dei fondi della Recovery and Resilience Facility, e che si concentrino sui “quartieri in crisi” delle aree metropolitane così intese. Questi sono gli spazi dove, anche simbolicamente, sono più evidenti gli effetti dei processi di polarizzazione che abbiamo citati e che pur con articolazioni e intensità differenti – il divario Nord-Sud è ovviamente molto rilevante anche in questo caso – fronteggiano problemi comuni. Proprio in questi quartieri, nei quali sono venute meno le risorse per la manutenzione e la cura del territorio, delle residenze, dei servizi e dello spazio pubblico e dove si sono accumulati problemi generati da cattive politiche o dall’assenza di politiche – l’abbandono di attive politiche abitative, per citarne una tra le più rilevanti – emerge con evidenza un problema ambientale, che deve essere trattato con politiche che siano in grado di affrontare anche problemi di coesione e giustizia sociale.

Le condizioni di difficoltà demografica, economica, sociale e materiale nella quale versano alcuni di questi quartieri sono state ulteriormente accentuate dagli effetti diretti ed indiretti della pandemia, che ne ha rivelato la rilevanza e la profondità. Il modo in cui si è manifestato negli scorsi mesi questo aggravamento delle condizioni di deprivazione ha assunto diverse forme, connesse al divario in termini di dimensioni, qualità e comfort dello spazio domestico; al gap relativo alla disponibilità e qualità delle connessioni di rete e alla mancanza di adeguati supporti tecnologici, che ha colpito soprattutto, anche se non esclusivamente, i giovani in età scolare; alla riduzione o addirittura all’azzeramento del reddito, soprattutto per le famiglie e per gli individui in condizioni lavorative precarie e impiegate in settori particolarmente colpiti dal lockdown; alla difficoltà di accesso ai servizi territoriali, spesso meno strutturati che in altre zone delle città.

Per aggredire almeno alcuni dei fattori della produzione e riproduzione di queste diseguaglianze occorre una strategia di lungo periodo, non episodica e adeguatamente finanziata e capace di muovere diverse leve: occupazionali, sociali, ambientali. L’obiettivo del progetto è quindi quello di creare nuovo (e buon) lavoro nel campo della rigenerazione e riqualificazione ambientale e tecnologica dei quartieri più in difficoltà delle aree metropolitane italiane, coinvolgendo nei progetti di riqualificazione degli spazi urbani imprese che assumano in modo regolare giovani disoccupati, in cerca di prima occupazione o giovani che non studiano né lavorano (NEET) che risiedono nei quartieri, ma anche donne disoccupate o fuoriuscite dal mercato del lavoro anche in ragione della crisi legata all’emergenza sanitaria da COVID-19. La dimensione di innovazione nelle procedure di procurement pubblico sarà quindi essenziale, con le amministrazioni pubbliche coinvolte impegnate a fare ampio ricorso a “clausole sociali” finalizzate al massimo coinvolgimento occupazionale possibile delle popolazioni locali, a partire dai gruppi indicati. Ma anche ambientali, dando piena attuazione al Green Public Procurement e individuando – in collaborazione con università e centri di ricerca – i protocolli di intervento più innovativi dal punto di vista della qualità ambientale e prestazionale degli interventi. Queste innovazioni, e la lunga durata del programma, saranno anche funzionali a promuovere la nascita di nuove imprese da accompagnare attraverso programmi mirati di formazione e sostegno.

L’ipotesi che proponiamo è che questi progetti di quartiere dal forte contenuto sperimentale consentano di definire le caratteristiche di una politica nazionale estesa a tutto il territorio italiano – e quindi non solo le 14 aree metropolitane – e che possano essere attivati combinando assieme le diverse opportunità di finanziamento disponibili (la nuova edizione del PON Metro 2021-27; la Recovery and Resilience Facility; le risorse nazionali). Nell’ambito dei progetti, che dovranno avere natura integrata, potranno e dovranno essere finanziati interventi diversi fra i quali di manutenzione straordinaria e di riqualificazione degli spazi pubblici e degli edifici in relazione a diverse aree di interesse: efficientamento energetico degli edifici residenziali (pubblici e privati) e degli edifici che ospitano servizi pubblici (scuole, servizi sociali, impianti sportivi); ridisegno e manutenzione straordinaria degli spazi pubblici (parchi, giardini, piazze, cortili degli edifici scolastici, ..) e rigenerazione di edifici o spazi pubblici abbandonati, che potrebbero essere recuperati e messi a disposizione per attività di natura sociale; potenziamento delle connessioni di rete per residenze e scuole; ridisegno di sistemi di raccolta, trattamento e riciclo dei rifiuti con il potenziamento di opportunità locali di trasformazione; riqualificazione e rifunzionalizzazione di patrimonio residenziale sottoutilizzato ed abbandonato al fine del potenziamento dell’offerta abitativa (come più estesamente suggerito da altre proposte del percorso di Ricomporre i Divari).

I quartieri che potranno essere oggetto di intervento non saranno riconducibili esclusivamente alla famiglia dei quartieri di proprietà pubblica, ma potranno comprendere anche aree di edilizia privata caratterizzati da fenomeni di fragilità demografica e sociale e difficoltà abitativa e dove gli incentivi per l’adeguamento dell’edilizia privata potranno essere utilizzati per conseguire obiettivi di più ampio interesse sociale ed ambientale. Progetti ragionevolmente complessi per i singoli quartieri dovrebbero avere una dotazione di circa 20-25 milioni di euro ciascuno, un importo che può trovare agevolmente copertura nelle diverse fonti di finanziamento attivabili, anche attraverso un’estensione nel medio termine dei crediti fiscali previsti dal cosiddetto “Decreto rilancio” e che risultano accessibili anche alle aziende di edilizia pubblica

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RICOMPORRE I DIVARI proposte per aggredire le diseguaglianze socio-spaziali nel nostro paese. https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/26/ricomporre-i-divari-proposte-per-aggredire-le-diseguaglianze-socio-spaziali-nel-nostro-paese/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/26/ricomporre-i-divari-proposte-per-aggredire-le-diseguaglianze-socio-spaziali-nel-nostro-paese/#respond Mon, 26 Oct 2020 10:06:37 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5093

Autore:

Alessandro Coppola, Matteo Del Fabbro, Arturo Lanzani, Gloria Pessina, Federico Zanfi

Data

26 Ottobre 2020

Ricomporre i divari: combattere le disuguaglianze e realizzare la transizione ecologica attraverso politiche e progetti attenti ai territori

Con la conferenza “Ricomporre i divari. Politiche e progetti contro le diseguaglianze” tenutasi presso il Dipartimento di Architettura e studi urbani del Politecnico di Milano nel febbraio 2020, in collaborazione con il Forum Disuguaglianze Diversità e nel quadro del programma di ricerca dedicato alle “fragilità territoriali”, ha preso avvio un percorso di elaborazione di proposte finalizzate ad aggredire le diseguaglianze socio-spaziali nel nostro paese. Venticinque gruppi di lavoro formati da ricercatori ed esperti stanno sviluppando altrettante idee progettuali sui temi dell’abitare, della mobilità, delle infrastrutture della vita quotidiana, degli spazi aperti e più complessivamente delle strategie di pianificazione e sviluppo territoriale del nostro paese. Tali proposte hanno l’ambizione di essere risolute nel loro aggredire nodi lungamente irrisolti, individuando le condizioni in base alle quali ciò può avvenire e allo stesso tempo concrete nella loro fattibilità immediata anche nel quadro della programmazione delle risorse della Recovery and Resilience Facility.

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Le proposte saranno raccolte in un volume che sarà pubblicato per i tipi de Il Mulino agli inizi del 2021. Da oggi ne anticipiamo alcune qui, sulla pagina del Forum Disuguaglianze Diversità. In particolare, daremo spazio a una prima serie di proposte che mettono direttamente a fuoco il cambiamento di scenario territoriale entro il quale necessariamente dovranno calarsi le politiche della ripresa post-Covid 19, un cambiamento che le politiche pubbliche dovrebbero riconoscere pena il rischio non solo di non risolvere i problemi, ma addirittura di drammatizzarli. La crisi del 2008, poi la stagnazione e infine l’irruzione della pandemia ed il prolungarsi dei suoi effetti economici e sociali hanno profondamente mutato i termini territoriali dello sviluppo e dell’organizzazione economica e sociale del paese. I divari storici si sono allargati mentre nuovi divari sono andati emergendo, con regioni forti che sono andate progressivamente indebolendosi. Egualmente, anno dopo anno, sono andate manifestandosi le crescenti vulnerabilità a un insieme di rischi che possiamo definire “territoriali” nel loro combinare minacce sistemiche – il cambiamento climatico è il primo fra questi, ma anche lo stesso rischio sismico – con processi di fragilizzazione sociale e demografica che tendono ad acutizzare la vulnerabilità a tali rischi. Nonostante sempre di più le crisi e le disuguaglianze si manifestino in forme ben localizzate nello spazio delle diverse Italie, le politiche pubbliche continuano ad essere in gran parte generalizzanti, incapaci di leggere il territorio, “spatially blind”.

Tra le proposte in cantiere, dunque, sei trattano direttamente di questi divari emergenti e propongono strategie integrate e place-based che guardano ad essi come delle concrete fattispecie territoriali che vanno analizzate e trattate come tali anche da parte delle politiche nazionali. Si afferma così il principio che politiche settoriali uniformi da sole non possono aggredire problemi complessi con specifiche declinazioni territoriali, che anzi troppo spesso sono il frutto di un approccio settoriale e generalizzante ai problemi stessi che non riconosce queste specificità.

La prima proposta ad essere presentata riguarderà i quartieri in difficoltà delle aree metropolitane. Successivamente, nelle prossime settimane illustreremo proposte che riguarderanno le aree interne marginali segnate dallo spopolamento, la terza Italia produttiva in crisi economica ma anche sociale ed ambientale, la Pianura Padana inquinata e la sua popolazione in larga parte fragile, come dimostrato dalla crisi del Covid-19, i territori delle ricostruzioni post-sisma e, infine, gli 8000 km di coste esposte ai rischi indotti dal cambiamento climatico.

I curatori di Ricomporre i Divari: Alessandro Coppola, Matteo Del Fabbro, Arturo Lanzani, Gloria Pessina, Federico Zanfi

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Leggi anche questo articolo in collaborazione con l’Espresso :

>>Le cinque Italie su cui dovremmo spendere il Recovery fund

 

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