pianificazione – Fragilità Territoriali https://www.eccellenza.dastu.polimi.it Dipartimento di eccellenza Thu, 12 Nov 2020 17:14:53 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.2 https://i0.wp.com/www.eccellenza.dastu.polimi.it/wp-content/uploads/2020/05/cropped-cropped-favicon.png?fit=32%2C32&ssl=1 pianificazione – Fragilità Territoriali https://www.eccellenza.dastu.polimi.it 32 32 176743178 Nuovi lavori per quartieri rinnovati https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/28/nuovi-lavori-per-quartieri-rinnovati/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/28/nuovi-lavori-per-quartieri-rinnovati/#respond Wed, 28 Oct 2020 20:57:23 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5111

Autore:

La proposta è stata elaborata da un gruppo di lavoro composto da Gabriele Pasqui, Giovanni Laino, Alessandro Coppola, Agostino Petrillo, Sandro Balducci ed è stata discussa e rivista con Claudio Calvaresi, Elena Fontanella, Rossana Torri, Andrea Ghirlanda, Davide Bazzini, Roberto Nocerino. La sua versione completa sarà pubblicata in un volume di prossima uscita per i tipi de Il Mulino.

Data

28 Ottobre 2020

Una proposta di intervento di Ricomporre i Divari per la rigenerazione ambientale dei quartieri in difficoltà nei contesti metropolitani
 

Quando si parla di “periferie” si tende ancora oggi a limitare lo sguardo alle periferie dei nuclei centrali delle aree metropolitane. Tuttavia, è ormai noto come la condizione periferica sia ormai esplosa estendendosi ad una scala ben più ampia di quella comunale e che ha ormai una dimensione territoriale: la “periferia” di Milano non è solo il quartiere di Gratosoglio ma anche è sempre di più il comune di Pioltello o di Melzo, che distano da Piazza del Duomo rispettivamente 12 e 22 chilometri.

I grandi contesti metropolitani così intesi sono fra i territori “fragili” al centro dei progetti del percorso di “Ricomporre i divari” e su cui si dovrà investire con forza nei prossimi anni. Si tratta di una fragilità che discende in gran parte dall’essere sede degli effetti forse più vistosi di processi di polarizzazione sociale e spaziale che hanno modificato le società urbane negli ultimi decenni. Processi che hanno condotto da una parte alla crescita delle diseguaglianze di redditi e patrimoni e dall’altra a forme di concentrazione spaziale di gruppi sociali particolarmente vulnerabili.

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Si può fare molto per aggredire almeno alcuni dei fattori di produzione e riproduzione di queste diseguaglianze. Un rafforzamento dei governi metropolitani – a partire dal riconoscimento di poteri concreti in ambiti decisivi quali la regolazione dei suoli e quindi le politiche abitative – sarebbe senza dubbio importante. Tuttavia, fin da subito si possono promuovere interventi concreti che facciano leva sulla programmazione della politica di coesione 2021-27, e quindi anche sull’opportunità dei fondi della Recovery and Resilience Facility, e che si concentrino sui “quartieri in crisi” delle aree metropolitane così intese. Questi sono gli spazi dove, anche simbolicamente, sono più evidenti gli effetti dei processi di polarizzazione che abbiamo citati e che pur con articolazioni e intensità differenti – il divario Nord-Sud è ovviamente molto rilevante anche in questo caso – fronteggiano problemi comuni. Proprio in questi quartieri, nei quali sono venute meno le risorse per la manutenzione e la cura del territorio, delle residenze, dei servizi e dello spazio pubblico e dove si sono accumulati problemi generati da cattive politiche o dall’assenza di politiche – l’abbandono di attive politiche abitative, per citarne una tra le più rilevanti – emerge con evidenza un problema ambientale, che deve essere trattato con politiche che siano in grado di affrontare anche problemi di coesione e giustizia sociale.

Le condizioni di difficoltà demografica, economica, sociale e materiale nella quale versano alcuni di questi quartieri sono state ulteriormente accentuate dagli effetti diretti ed indiretti della pandemia, che ne ha rivelato la rilevanza e la profondità. Il modo in cui si è manifestato negli scorsi mesi questo aggravamento delle condizioni di deprivazione ha assunto diverse forme, connesse al divario in termini di dimensioni, qualità e comfort dello spazio domestico; al gap relativo alla disponibilità e qualità delle connessioni di rete e alla mancanza di adeguati supporti tecnologici, che ha colpito soprattutto, anche se non esclusivamente, i giovani in età scolare; alla riduzione o addirittura all’azzeramento del reddito, soprattutto per le famiglie e per gli individui in condizioni lavorative precarie e impiegate in settori particolarmente colpiti dal lockdown; alla difficoltà di accesso ai servizi territoriali, spesso meno strutturati che in altre zone delle città.

Per aggredire almeno alcuni dei fattori della produzione e riproduzione di queste diseguaglianze occorre una strategia di lungo periodo, non episodica e adeguatamente finanziata e capace di muovere diverse leve: occupazionali, sociali, ambientali. L’obiettivo del progetto è quindi quello di creare nuovo (e buon) lavoro nel campo della rigenerazione e riqualificazione ambientale e tecnologica dei quartieri più in difficoltà delle aree metropolitane italiane, coinvolgendo nei progetti di riqualificazione degli spazi urbani imprese che assumano in modo regolare giovani disoccupati, in cerca di prima occupazione o giovani che non studiano né lavorano (NEET) che risiedono nei quartieri, ma anche donne disoccupate o fuoriuscite dal mercato del lavoro anche in ragione della crisi legata all’emergenza sanitaria da COVID-19. La dimensione di innovazione nelle procedure di procurement pubblico sarà quindi essenziale, con le amministrazioni pubbliche coinvolte impegnate a fare ampio ricorso a “clausole sociali” finalizzate al massimo coinvolgimento occupazionale possibile delle popolazioni locali, a partire dai gruppi indicati. Ma anche ambientali, dando piena attuazione al Green Public Procurement e individuando – in collaborazione con università e centri di ricerca – i protocolli di intervento più innovativi dal punto di vista della qualità ambientale e prestazionale degli interventi. Queste innovazioni, e la lunga durata del programma, saranno anche funzionali a promuovere la nascita di nuove imprese da accompagnare attraverso programmi mirati di formazione e sostegno.

L’ipotesi che proponiamo è che questi progetti di quartiere dal forte contenuto sperimentale consentano di definire le caratteristiche di una politica nazionale estesa a tutto il territorio italiano – e quindi non solo le 14 aree metropolitane – e che possano essere attivati combinando assieme le diverse opportunità di finanziamento disponibili (la nuova edizione del PON Metro 2021-27; la Recovery and Resilience Facility; le risorse nazionali). Nell’ambito dei progetti, che dovranno avere natura integrata, potranno e dovranno essere finanziati interventi diversi fra i quali di manutenzione straordinaria e di riqualificazione degli spazi pubblici e degli edifici in relazione a diverse aree di interesse: efficientamento energetico degli edifici residenziali (pubblici e privati) e degli edifici che ospitano servizi pubblici (scuole, servizi sociali, impianti sportivi); ridisegno e manutenzione straordinaria degli spazi pubblici (parchi, giardini, piazze, cortili degli edifici scolastici, ..) e rigenerazione di edifici o spazi pubblici abbandonati, che potrebbero essere recuperati e messi a disposizione per attività di natura sociale; potenziamento delle connessioni di rete per residenze e scuole; ridisegno di sistemi di raccolta, trattamento e riciclo dei rifiuti con il potenziamento di opportunità locali di trasformazione; riqualificazione e rifunzionalizzazione di patrimonio residenziale sottoutilizzato ed abbandonato al fine del potenziamento dell’offerta abitativa (come più estesamente suggerito da altre proposte del percorso di Ricomporre i Divari).

I quartieri che potranno essere oggetto di intervento non saranno riconducibili esclusivamente alla famiglia dei quartieri di proprietà pubblica, ma potranno comprendere anche aree di edilizia privata caratterizzati da fenomeni di fragilità demografica e sociale e difficoltà abitativa e dove gli incentivi per l’adeguamento dell’edilizia privata potranno essere utilizzati per conseguire obiettivi di più ampio interesse sociale ed ambientale. Progetti ragionevolmente complessi per i singoli quartieri dovrebbero avere una dotazione di circa 20-25 milioni di euro ciascuno, un importo che può trovare agevolmente copertura nelle diverse fonti di finanziamento attivabili, anche attraverso un’estensione nel medio termine dei crediti fiscali previsti dal cosiddetto “Decreto rilancio” e che risultano accessibili anche alle aziende di edilizia pubblica

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>>visita il sito Forum Disuguaglianze Diversità

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RICOMPORRE I DIVARI proposte per aggredire le diseguaglianze socio-spaziali nel nostro paese. https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/26/ricomporre-i-divari-proposte-per-aggredire-le-diseguaglianze-socio-spaziali-nel-nostro-paese/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/26/ricomporre-i-divari-proposte-per-aggredire-le-diseguaglianze-socio-spaziali-nel-nostro-paese/#respond Mon, 26 Oct 2020 10:06:37 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5093

Autore:

Alessandro Coppola, Matteo Del Fabbro, Arturo Lanzani, Gloria Pessina, Federico Zanfi

Data

26 Ottobre 2020

Ricomporre i divari: combattere le disuguaglianze e realizzare la transizione ecologica attraverso politiche e progetti attenti ai territori

Con la conferenza “Ricomporre i divari. Politiche e progetti contro le diseguaglianze” tenutasi presso il Dipartimento di Architettura e studi urbani del Politecnico di Milano nel febbraio 2020, in collaborazione con il Forum Disuguaglianze Diversità e nel quadro del programma di ricerca dedicato alle “fragilità territoriali”, ha preso avvio un percorso di elaborazione di proposte finalizzate ad aggredire le diseguaglianze socio-spaziali nel nostro paese. Venticinque gruppi di lavoro formati da ricercatori ed esperti stanno sviluppando altrettante idee progettuali sui temi dell’abitare, della mobilità, delle infrastrutture della vita quotidiana, degli spazi aperti e più complessivamente delle strategie di pianificazione e sviluppo territoriale del nostro paese. Tali proposte hanno l’ambizione di essere risolute nel loro aggredire nodi lungamente irrisolti, individuando le condizioni in base alle quali ciò può avvenire e allo stesso tempo concrete nella loro fattibilità immediata anche nel quadro della programmazione delle risorse della Recovery and Resilience Facility.

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Le proposte saranno raccolte in un volume che sarà pubblicato per i tipi de Il Mulino agli inizi del 2021. Da oggi ne anticipiamo alcune qui, sulla pagina del Forum Disuguaglianze Diversità. In particolare, daremo spazio a una prima serie di proposte che mettono direttamente a fuoco il cambiamento di scenario territoriale entro il quale necessariamente dovranno calarsi le politiche della ripresa post-Covid 19, un cambiamento che le politiche pubbliche dovrebbero riconoscere pena il rischio non solo di non risolvere i problemi, ma addirittura di drammatizzarli. La crisi del 2008, poi la stagnazione e infine l’irruzione della pandemia ed il prolungarsi dei suoi effetti economici e sociali hanno profondamente mutato i termini territoriali dello sviluppo e dell’organizzazione economica e sociale del paese. I divari storici si sono allargati mentre nuovi divari sono andati emergendo, con regioni forti che sono andate progressivamente indebolendosi. Egualmente, anno dopo anno, sono andate manifestandosi le crescenti vulnerabilità a un insieme di rischi che possiamo definire “territoriali” nel loro combinare minacce sistemiche – il cambiamento climatico è il primo fra questi, ma anche lo stesso rischio sismico – con processi di fragilizzazione sociale e demografica che tendono ad acutizzare la vulnerabilità a tali rischi. Nonostante sempre di più le crisi e le disuguaglianze si manifestino in forme ben localizzate nello spazio delle diverse Italie, le politiche pubbliche continuano ad essere in gran parte generalizzanti, incapaci di leggere il territorio, “spatially blind”.

Tra le proposte in cantiere, dunque, sei trattano direttamente di questi divari emergenti e propongono strategie integrate e place-based che guardano ad essi come delle concrete fattispecie territoriali che vanno analizzate e trattate come tali anche da parte delle politiche nazionali. Si afferma così il principio che politiche settoriali uniformi da sole non possono aggredire problemi complessi con specifiche declinazioni territoriali, che anzi troppo spesso sono il frutto di un approccio settoriale e generalizzante ai problemi stessi che non riconosce queste specificità.

La prima proposta ad essere presentata riguarderà i quartieri in difficoltà delle aree metropolitane. Successivamente, nelle prossime settimane illustreremo proposte che riguarderanno le aree interne marginali segnate dallo spopolamento, la terza Italia produttiva in crisi economica ma anche sociale ed ambientale, la Pianura Padana inquinata e la sua popolazione in larga parte fragile, come dimostrato dalla crisi del Covid-19, i territori delle ricostruzioni post-sisma e, infine, gli 8000 km di coste esposte ai rischi indotti dal cambiamento climatico.

I curatori di Ricomporre i Divari: Alessandro Coppola, Matteo Del Fabbro, Arturo Lanzani, Gloria Pessina, Federico Zanfi

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>>visita il sito Forum Disuguaglianze Diversità

Leggi anche questo articolo in collaborazione con l’Espresso :

>>Le cinque Italie su cui dovremmo spendere il Recovery fund

 

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https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/10/26/ricomporre-i-divari-proposte-per-aggredire-le-diseguaglianze-socio-spaziali-nel-nostro-paese/feed/ 0 5093
Lettera aperta – SPAZIO E PREPAREDNESS https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/09/17/lettera-aperta-spazio-e-preparedness/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/09/17/lettera-aperta-spazio-e-preparedness/#comments Thu, 17 Sep 2020 08:22:45 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=5072
I territori fragili e l'epidemia: riflessioni

Autore:

Simonetta Armondi, Sandro Balducci, Paolo Bozzuto, Martina Bovo, Massimo Bricocoli, Antonella Bruzzese, Daniele Chiffi, Alessandro Coppola, Francesco Curci, Valeria Fedeli, Beatrice Galimberti, Agim Kërçuku, Francesco Infussi, Eugenio Morello, Anna Moro, Carolina Pacchi, Gabriele Pasqui, Agostino Petrillo

Data:

15 Settembre 2020

Sulle sfide del Covid-19 per un rinnovato ruolo pubblico della pianificazione territoriale e delle politiche urbane

Questa lettera è stata preparata da un gruppo di lavoro del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano.
Di fronte al carattere “senza precedenti” della sfida che il Covid-19 ha imposto, l’intero sistema socio-economico e di governo si è trovato del tutto impreparato. Riteniamo che chi si occupa di pianificazione e di politiche urbane e territoriali, riflettendo criticamente sui propri strumenti, possa dare un contributo rilevante perché le comunità siano meglio preparate ad affrontare quella sfida e le sue conseguenze.

 

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1. Cosa sappiamo?

La pandemia si configura come condizione intrinseca della nostra epoca (connessa ad altri fenomeni sempre più frequenti, come le manifestazioni dell’emergenza ambientale e climatica) e introduce nella prassi quotidiana il concetto di incertezza radicale, non calcolabile e non assicurabile.
Ora sappiamo che:

  •  ciò che è avvenuto appare legato all’abuso dell’ambiente (che favorisce i salti di specie nella trasmissione delle malattie) ed è strettamente legato alla globalizzazione: l’iperconnessione e mobilità di persone e merci;
  •  la ricerca medico-scientifica non è in grado di avere soluzioni pronte per tutto, non può capire in tempo reale caratteri di nuove epidemie né la loro potenziale trasformazione in pandemie, non può produrre in poco tempo un vaccino;
  • non tutto è prevedibile. Ancora oggi non sappiamo se e come la pandemia possa tornare ad estendere i suoi effetti in maniera rilevante (in alcune parti del mondo è già così, in altre non ha mai smesso, in altre ancora vige una temporanea quiete);
  • siamo di fronte a una condizione di profonda incertezza, irriducibile al rischio e dunque non calcolabile né assicurabile. Come la questione del cambiamento climatico aveva ampiamente dimostrato, dobbiamo dunque agire in un contesto che sfida i modelli usuali di management del rischio.

Dunque, eravamo impreparati. Pianificare significa proprio prepararsi, ma non essendo chiaro a cosa ci si deve preparare, si tratta di un’attività di pianificazione molto diversa da quelle che conosciamo, o che crediamo di conoscere. Entro queste osservazioni, pertanto, emerge il tema del ruolo della pianificazione e del suo rapporto con condizioni di incertezza estrema.

 

2. Cosa sta succedendo? Alcune osservazioni

Entro un quadro di sperimentazione ‘forzata’ dalla pandemia, sono state mobilitate forme di azione diverse e da queste emergono alcune osservazioni sulla dimensione spaziale.

  • L’importanza del pubblico (e il ruolo centrale di alcune forze sociali).
    Per affrontare i problemi drammatici scatenati dalla pandemia, il mercato non riesce ad offrire soluzioni ma è fondamentale il ruolo del pubblico. L’azione pubblica è necessaria. Senza un pubblico efficiente ed efficace, senza le istituzioni, il mercato non è in grado di garantire la salute e la sicurezza dei cittadini, né di produrre beni pubblici fondamentali, tra i quali lo spazio.
  • La dimensione territoriale delle politiche e dei servizi.
    I sistemi sanitari cercano di recuperare la dimensione del presidio territoriale. Dunque i territori contano. L’articolazione territoriale, alle diverse scale, della pandemia e la mancata territorializzazione delle politiche e degli interventi per l’emergenza hanno evidenziato come solo assumendo la varietà delle forme insediative, demografiche, socio-economiche dei territori sia possibile agire in modo efficace, facendosi carico anche dei divari e delle disuguaglianze tra individui e gruppi sociali.
  • L’uso e l’adattamento dello spazio urbano.
    Le città cercano azioni di adattamento – piste ciclabili, ridefinizione dello spazio pubblico, dehors, quartieri “15 minuti”. In alcuni casi queste sono il frutto di soluzioni già pianificate e di cui è stata accelerata la realizzazione, in altri casi si tratta di soluzioni temporanee e reversibili, ma che prefigurano cambiamenti duraturi.

 

3. Come possiamo prepararci in una situazione di incertezza radicale? Possibili atteggiamenti per il planning e principi di azione per le politiche urbane

Prepararsi per essere pronti
L’esperienza che stiamo facendo con la pandemia rinvia ad altre situazioni simili che si sono dovute affrontare in ogni parte del mondo: dagli incendi devastanti dell’Australia dei mesi scorsi, allo Tsunami con incidente nucleare in Giappone del 2010, agli attentati terroristici nella Francia del 2015. Episodi drammatici che ci fanno capire che non sono efficaci forme convenzionali di pianificazione; un approccio al trattamento delle calamità imponderabili deve puntare non tanto ad evitarle, il che è impossibile, ma a costruire capacità di reazione nelle più diverse situazioni di catastrofe. La preparedness  secondo il sociologo della medicina Andrew Lackoff è una forma di pianificazione che assume l’obiettivo di prepararsi all’imprevisto lavorando sulla costruzione di scenari, sulla protezione delle infrastrutture critiche di comunicazione, sull’accantonamento di scorte di dispositivi che consentono di far fronte a diversi tipi di emergenza, sulla messa in funzione di sistemi di allarme immediatamente attivabili, sul disegno di sistemi di coordinamento tra soggetti diversi e sulla verifica periodica del loro funzionamento.

Guardando a cosa sta succedendo di fronte alla pandemia possiamo renderci conto di quanto questo insieme di azioni sarebbero state necessarie, dall’accantonamento dei dispositivi di protezione, ad un chiaro disegno delle relazioni tra i soggetti dotati di competenze concorrenti, dalla funzionalità di sistemi di allarme, alla salvaguardia ed al mantenimento delle infrastrutture sanitarie sul territorio il cui indebolimento è stato alla base di tanti effetti drammatici in questa circostanza.

La preparedness di fronte all’incalcolabilità dei disastri che la crescente instabilità sociale, politica economica ed ambientale ci propongono, può essere il modo, anche per le città e nei territori, che possiamo darci di pianificare non la soluzione, ma almeno la costruzione di una capacità di reazione anche di fronte alle cose che non sappiamo di non sapere.

 

Linee di intervento

  • Orientamenti della pianificazione (ambiente, sostenibilità, …).
    Alcune linee di intervento emergono da una lunga tradizione dell’urbanistica attenta alla vita delle persone e delle comunità e che semplicemente era stata travolta dalla euforia di una razionalizzazione cieca e fondata prevalentemente sul mercato: la tutela non rituale dell’ambiente, la centralità dello spazio pubblico, della mobilità sostenibile, dell’accesso al verde, dell’affrontare la questione delle disuguaglianze spaziali, del valore delle aree deboli, dell’accesso a servizi di prossimità che svolgono il duplice ruolo di costruire urbanità e di proteggere rispetto a situazioni critiche che costringono a chiusure.

  • Questioni di governance.
    Alcune linee di intervento derivano da tutto quanto dobbiamo riconoscere non aver funzionato durante la crisi: l’assenza di piani di emergenza per diversi tipi di scenari (piani pandemici che esistevano ed erano stati abbandonati; piani  di emergenza per reagire a rischi naturali, ambientali o sociali, ecc.); la mancanza di dispositivi di protezione prodotti nel Paese, in questo caso mascherine, camici, guanti, ma il significato di “dispositivi di protezione” potrebbe estendersi anche ad altri ambiti; la confusione nella governance della crisi, che ha prodotto conflitti fra tutti i livelli di azione e di governo e che può essere invece preventivamente disegnata e mantenuta; l’importanza del funzionamento delle infrastrutture critiche – da quelle che consentono il normale metabolismo dei contesti insediativi (cibo, acqua, rifiuti, energia) fino all’accesso alla banda di telecomunicazione per tutte le attività e tutti i luoghi –, gli effetti negativi di tutte le forme di “razionalizzazione” dei servizi che hanno concentrato ed allontanato dai cittadini l’accesso.

  • Questioni di alleanze tra soggetti pubblici, privati e intermedi.
    Assumere il coinvolgimento delle forze sociali, dei corpi intermedi, delle reti associative e di volontariato che si sono mobilitate in questi mesi come una risorsa e non come un inciampo, perché la complessità dei processi è una risorsa straordinaria di apprendimento collettivo, di legittimazione e di efficacia nell’attuazione.

  • Inneschi territoriali e spaziali.
    Alcune linee di intervento sono la conseguenza di quanto ci siamo trovati a dover affrontare durante il lock-down e che hanno però messo in mostra necessità e potenzialità di un uso più flessibile dello spazio fisico con funzione di protezione in caso di pericolo, ma anche di un possibile modo di vita più interessante e libero: case che sono anche luoghi di lavoro e di loisir; spazi condominiali che possono essere finalmente utilizzati per il gioco ed il relax; uffici che possono liberare spazi per attività diverse; edifici che possono cambiare la propria funzione per adattarsi a nuove esigenze con una flessibilità finora poco conosciuta; luoghi suburbani o remoti che possono riacquisire interesse come luoghi dove possono essere svolte bene molte attività a distanza.
    Considerare sempre gli effetti reali sulla vita quotidiana delle azioni, dei progetti, delle iniziative, in una prospettiva attenta alla materialità del rapporto tra forme dello spazio e pratiche ordinarie. Ciò significa conoscere in modo accurato come funzionano l’organizzazione del lavoro, la mobilità, la scuola, l’uso dei parchi e degli spazi aperti. Questo approccio prossimo alle pratiche, esperienziale, deve integrare le evidenze analitiche, i dati e i modelli, al fine di costruire soluzioni plausibili e credibili per chi le deve attuare nella vita di tutti i giorni.
    Costruire progetti “territoriali”, nei quali le azioni e le soluzioni siano declinate rispetto alla varietà delle risorse e dei problemi. Ciò implica capacità di cooperazione interistituzionale, ma anche competenze specifiche (di contenuto e di processo, oltre che procedurali) che spesso oggi sono assenti nella pubblica amministrazione e che le risorse oggi in campo potrebbero servire a consolidare.

 

In conclusione

Si fa urgente la necessità di ripensare alcuni caratteri della pianificazione dello spazio e delle politiche urbane e di farlo in una prospettiva consapevole di uno stato di instabilità crescente.

Guardando a questo insieme di elementi – cosa sappiamo adesso, cosa sta empiricamente avvenendo in reazione alla crisi, e cosa vuol dire prepararsi – possiamo cominciare a vedere con chiarezza quali sono i tratti di politiche e forme pianificazione capaci di affrontare situazioni di incertezza radicale. Una incertezza che può essere affrontata solo a partire dal riconoscimento di sistemi di opportunità, risorse disponibili e dalla loro combinazione e restituendo valore e guida a istituzioni pubbliche capaci di produrre, accumulare e far circolare forme di innovazione e intelligenza sociale.

Questi principi hanno bisogno di essere concretamente messi alla prova in processi complessi e multiattoriali, che assumano la dimensione territoriale come fattore determinante.

In una fase nella quale la politica italiana si misura con il “Recovery Plan” – un documento programmatico necessario ad ottenere ingenti finanziamenti dall’Europa e che rischia di trasformarsi in un elenco di progetti pregressi e inattuati – una riflessione aperta su quali debbano essere natura e contenuti di un simile piano sembra indispensabile.

Le conoscenze esperte nel campo della pianificazione e delle politiche urbane possono mettersi al servizio di questa riflessione per fare sì che non si perda l’occasione della crisi per la costruzione di nuove capacità governo che consentano di essere meglio preparati all’imprevisto e, allo stesso tempo, di trasformare le città e il territorio del nostro Paese nella direzione di una maggiore equità, inclusività e resilienza.

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Pianificare le Olimpiadi Invernali 2026 nella fase post-Covid-19? https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/07/10/pianificare-le-olimpiadi-invernali-2026-nella-fase-post-covid-19/ https://www.eccellenza.dastu.polimi.it/2020/07/10/pianificare-le-olimpiadi-invernali-2026-nella-fase-post-covid-19/#respond Fri, 10 Jul 2020 07:50:15 +0000 http://www.eccellenza.dastu.polimi.it/?p=4873
I territori fragili e l'epidemia: riflessioni

Autore:

Stefano Di Vita, Davide Ponzini, Nicole De Togni e Zachary Jones

Data:

10 Luglio 2020

La legge che definisce la cabina di regia per la pianificazione delle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026 è stata approvata a maggio, durante la crisi pandemica. Il limitato dibattito pubblico e accademico, l’incertezza del quadro di programmazione nonostante le attese di notevoli finanziamenti pubblici, l’assenza di una visione per lo sviluppo territoriale e per la legacy degli interventi per le Olimpiadi sono questioni critiche. Questo breve contributo discute alcuni nodi problematici e intende stimolare il dibattito in questa importante fase del processo.

 

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Pianificare le Olimpiadi Invernali 2026 nella fase post-Covid-19?

Durante le settimane di emergenza Covid-19 è passata inosservata l’approvazione in Parlamento, quasi all’unanimità, della Legge Olimpica: ovvero, la Legge 8 maggio 2020, n. 31, recante “Disposizioni urgenti per l’organizzazione e lo svolgimento dei Giochi olimpici e paraolimpici invernali Milano Cortina 2026 e delle finali ATP Torino 2021-2025”. Nonostante la scarsa attenzione pubblica e mediatica, si tratta di un tassello importante per lo sviluppo dei progetti previsti dal Dossier di candidatura di Milano e Cortina alle Olimpiadi Invernali 2026 – consegnato al Comitato Olimpico Internazionale (CIO) nel gennaio 2019 e premiato dallo stesso CIO nel giugno 2019. Questi progetti, nei prossimi mesi, dovranno essere confermati e sviluppati attraverso la redazione del Programma Olimpico. La Legge 31/2020 ha definito la cabina di regia[i] che, inevitabilmente, condizionerà l’agenda urbana e macro-regionale dei prossimi anni per la infrastrutturazione, organizzazione e celebrazione del grande evento, così come per la gestione del post-evento. Sembra interessante come questo si inscriva in una fase di straordinari cambiamenti dell’agenda locale e nazionale legati alla crisi pandemica e di significativi interventi pubblici per il rilancio. Con questo contributo intendiamo stimolare il dibattito rispetto a questa particolare fase.

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Crisi e rischi di ritardo nella pianificazione

Gli effetti del Covid-19 sui grandi eventi sono già evidenti a livello mondiale, con il rinvio di un anno delle Olimpiadi estive di Tokyo 2020 e dell’Expo di Dubai 2020, così come le conseguenti ripercussioni sui bilanci dei paesi ospitanti. Anche se non sembra ora possibile prevedere gli effetti della pandemia e della conseguente crisi economica sui grandi eventi nei prossimi anni, non è possibile ignorare la crescente disaffezione nei confronti dei mega-eventi, che è aumentata dopo la crisi del 2008 (dei 6 candidati per le Olimpiadi 2024 ben 4 si sono ritirati, cosa avvenuta anche per l’edizione invernale del 2026). Pur ipotizzando che non vi siano profonde rotture politiche nei paesi e nelle città ospitanti le Olimpiadi (gli organizzatori di Parigi 2024 negano qualsiasi impatto della pandemia), non è chiaro se la crisi genererà nuove opportunità per sperimentare con eventi in formato interamente digitale oppure blended (Tokyo 2021 darà delle prime risposte in questo senso), se i grandi stadi costruiti per le folle ospiteranno meno spettatori debitamente distanziati oppure se diventeranno inutili residui di un passato ormai superato dai nuovi media.

Nel tentativo di corrispondere a impegni assunti a livello internazionale, la macchina olimpica italiana si sta organizzando in una fase incerta e inedita in termini di sfide economiche e sociali. Vi sono tuttavia analogie con le fasi iniziali del processo che ha portato all’organizzazione e alla celebrazione dell’Esposizione Universale di Milano 2015: un altro grande evento, la cui candidatura risale al periodo 2006-2007, immediatamente precedente alla crisi finanziaria globale e la cui assegnazione alla città di Milano è avvenuta nel marzo 2008. Nonostante i gravi ritardi, la definizione e l’accentramento di poteri straordinari, e nonostante il mancato completamento di ampi segmenti del programma infrastrutturale, Expo 2015 ha certamente contribuito al rinnovamento dell’immagine e al riposizionamento internazionale della città (Pasqui, 2018),[ii] al consolidamento di alcune traiettorie di sviluppo economico e sociale e al ripensamento dell’agenda urbana (Di Vita e Morandi, 2018)[iii]. La mobilitazione di numerosi attori e luoghi per eventi complementari all’esposizione ha avuto effetti diffusi e duraturi nella città (Di Vita e Ponzini 2020)[iv], mentre il riutilizzo dell’area dell’Expo ha incontrato notevoli difficoltà e, a 5 anni dall’evento, attende di essere convertita.

 

Stato di emergenza e appiattimento sul brevissimo termine

Se la fase iniziale dell’organizzazione dell’Expo è avvenuta in un contesto di profonda incertezza economica e sociale (e di ridimensionamento del budget e delle opere previste), la fase iniziale dell’organizzazione dei Giochi Olimpici Invernali del 2026 è indubbiamente segnata da una nuova crisi. Anche se le disponibilità finanziarie pubbliche potrebbero essere garantite, l’attenzione dell’opinione pubblica sembra assorbita da altre priorità economiche e sociali. Milano è stata una delle prime grandi metropoli europee a tratteggiare una strategia di risposta alla pandemia[v] ma con una prospettiva concentrata sul territorio comunale e sul breve termine. Le reazioni delle Regioni Lombardia e Veneto fanno fronte alle aree più colpite in Italia ma non intrecciano i temi e i problemi di infrastrutture e luoghi delle Olimpiadi nel lungo termine. Le strategie nazionali sviluppate dal comitato di esperti guidati da Nicola Colao[vi] non hanno un orizzonte temporale adeguato (2022) per considerare le Olimpiadi (ma forse avrebbe potuto cogliere l’occasione in termini di infrastrutture prioritarie) e non tematizza la filiera sportiva. Cultura, arte e turismo sono approfondite come area d’azione, senza richiami all’evento.

Ritardare (o eludere) il dibattito pubblico sulle Olimpiadi potrebbe limitare la condivisione delle scelte da parte dei territori metropolitani e regionali convolti sia direttamente che indirettamente dagli interventi e le opportunità di rilancio e sviluppo legate alle Olimpiadi Invernali. In un sistema di governance ad hoc (Basso, 2017)[vii], la legge olimpica sembra non escludere un eventuale approccio para-emergenziale, con poteri speciali ed effetti di esclusione sistematica degli attori locali dalle scelte chiave. Tra i rischi dell’attesa rispetto a una scadenza indifferibile vi è un’interpretazione semplificante del processo: l’efficienza gestionale impone una sostanziale rinuncia a perseguire visioni politiche e territoriali organiche, procedendo per singoli progetti, comparti, occasioni o, nei casi peggiori, per ragioni di emergenza (in virtù di eventuali ritardi). Al contrario, iniziare a sviluppare una narrativa condivisa di rilancio regionale e nazionale attraverso le Olimpiadi potrebbe dare forza politica e di pianificazione allo sviluppo del Dossier di candidatura che ha limiti evidenti in termini di visione spaziale e legacy.

 

Due limiti della candidatura: visione spaziale e legacy territoriale

La candidatura di Milano e Cortina alle Olimpiadi Invernali 2026 mostra interessanti elementi di discontinuità con le recenti edizioni delle Olimpiadi, anche dovuti alle esplicite richieste alle città e ai territori ospitanti fatte della nuova Agenda Olimpica 2020 in termini di sostenibilità, flessibilità ed efficienza. Questo ha implicazioni da non sottovalutare: un programma di potenziamento infrastrutturale a scala macro-regionale che si articola nei 4 cluster territoriali di Milano, Valtellina, Cortina con Anterselva e Val di Fiemme (dove si concentreranno le attrezzature sportive e per l’accoglienza di atleti e media), la prevalente realizzazione delle attrezzature sportive e per l’accoglienza di atleti e media attraverso l’uso temporaneo di attrezzature esistenti o l’allestimento ex novo di attrezzature temporanee. Questa impostazione complessifica la governance reale (non quella formale approvata dalla legge Olimpica) dei processi decisionali e degli interventi. Non emerge altresì una visione strategica di insieme: potrebbero risultare esclusi attori locali potenzialmente capaci di rallentare o addirittura bloccare la realizzazione parte delle infrastrutture, mentre manca un progetto di legacy territoriale, capace di integrare e supportare gli obiettivi del Dossier di valorizzazione della legacy ambientale, economica, sociale e sportiva del grande evento. L’impostazione data dal Dossier di candidatura di Milano e Cortina alle Olimpiadi Invernali 2026 interpreta la legacy dell’evento come un capitale da gestire, non come il risultato di un processo di sviluppo di ampia scala e di lungo periodo arricchito dalle specificità locali dei territori coinvolti: dal cluster metropolitano di Milano, ai cluster alpini delle montagne della Lombardia, del Veneto e del Trentino-Alto Adige.

 

Discutere e fare ricerca: narrazione del rilancio, integrazione a scala metropolitana e macro-regionale

I grandi eventi sono il frutto di processi inerentemente ambigui, producono effetti ed eredità positivi e negativi, storie al contempo di successo e insuccesso, inclusione ed esclusione, valorizzazione ed emarginazione, polarizzazioni e squilibri territoriali. In molti casi costituiscono occasioni di rottura rispetto a narrazioni consolidate dei luoghi che li ospitano e che, attraverso di essi, mirano a riposizionarsi sul piano economico, culturale e sociale nella percezione a livello mondiale. Al di là di semplificazioni spesso ideologiche a favore oppure contro i grandi eventi, mancano oggi narrazioni condivise per le Olimpiadi Invernali 2026. I territori toccati dalle Olimpiadi e il quadro temporale rendono una narrazione dei Giochi come opportunità di rilancio verosimile a patto che vi sia una visione territoriale capace di mobilitare e far convergere attori e interessi diversificati. L’emergenza Covid-19 sollecita a ripensare le relazioni multi-scalari tra territori metropolitani e aree montane, ma non è chiaro se e come le Olimpiadi invernali 2026 possano diventare una minaccia per certi attori e territori esclusi piuttosto che un’occasione di rilancio sostenibile alla scala macro-regionale. Il coinvolgimento e l’integrazione degli interventi su base territoriale non possono essere date per scontate, sono l’esito di processi complessi e incerti.

Sulla base delle attività di ricerca sui grandi eventi italiani e internazionali promosse negli scorsi anni e attualmente in corso, questo è uno dei fronti su cui il DAStU può sviluppare un contributo per il territorio milanese e macro-regionale. Nonostante le difficoltà di questa fase, abbiamo iniziato a stimolare il dibattito con il ciclo di seminari internazionali “Mega-events and the City: Reflections and Lessons from the Expo, Olympics and European Capital of Culture”[viii] sostenuto da Comune di Milano e Triennale Milano, e tramite il coordinamento del Cluster nazionale di ricerca sui grandi eventi di Urban@it.

 

[i] La Legge 31/2020 istituisce il Consiglio Olimpico (formato da CONI, Governo Italiano, Regione Lombardia, Regione Veneto e Province autonome di Bolzano e Trento), con il compito di sorvegliare lo svolgimento del programma di realizzazione dei Giochi; riconosce la Fondazione di diritto privato Milano Cortina 2026 (costituita da CONI, CIP, Regione Lombardia, Regione Veneto, Comune di Milano e Comune di Cortina), con il ruolo di comitato organizzatore per l’organizzazione della parte sportiva dell’evento; prevede la costituzione della società Infrastrutture Milano-Cortina 2020-2026 Spa (partecipata di Ministero dell’Economia, Ministero delle infrastrutture, Regione Lombardia, Regione Veneto e Province autonome di Trento e di Bolzano), ovvero un’agenzia pubblica con il ruolo di centrale di committenza e stazione appaltante per la realizzazione delle opere per l’evento; infine, istituisce (presso la Presidenza del Consiglio) il Forum per la sostenibilità e l’eredità dei giochi Milano Cortina 2026, con il compito di tutelare l’eredità olimpica (benefici ambientali, economici e sociali) e promuovere l’utilizzo nel lungo termine delle opere realizzate per i Giochi.

[ii] Pasqui G. (2018), Raccontare Milano. Politiche, progetti, immaginari. Milano: Franco Angeli.

[iii] Di Vita S., Morandi C. (2018), Mega-Events and Legacies in Post-Metropolitan Spaces: Expos and Urban Agendas. Basingstoke: Palgrave Mac Millan.

[iv] Di Vita S., Ponzini, D. (2020) “Milan Expo 2015. The spread of cultural events in historic places and beyond.” In Ponzini, D., Bianchini, F., Tzortzi, N., Sanetra-Szeliga, J. (Eds). Mega-Events and Heritage: The Experience of Five European Cities. Cracovia: International Cultural Centre, pp. 58-101.

[v] Comune di Milano (2020) Milano 2020. Strategia di adattamento. Documento aperto al contributo della città. Documento tratto dal sito del Comune di  Milano: https://www.comune.milano.it/documents/20126/95930101/Milano+2020.++Strategia+di+adattamento.pdf/c96c1297-f8ad-5482-859c-90de1d2b76cb?t=1587723749501

[vi] Comitato di esperti in materia economica e sociale (2020) Iniziative per il rilancio “Italia 2020-2022”. Rapporto per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Documento tratto dal sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri http://www.governo.it/sites/new.governo.it/files/comitato_rapporto.pdf

[vii] Basso M. (2017), Grandi eventi e politiche urbane. Governare “routine” eccezionali, un confronto internazionale. Milano: Guerini e Associati.

[viii] Maggiori informazioni sui seminari e i filmati degli interventi dei relatori si possono trovare sul sito web: http://www.tau-lab.polimi.it/mega-events-and-the-city-seminar-series/

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